Il lunedì del Coach, #4

da | 23 Nov 2020 | Basketball

Doc Rivers, ultimo di una lunga serie di maestri, ha capito che non bastano i campioni per vincere i campionati.

Per portare di nuovo i Celtics sul tetto del mondo il Coach si affidò allora alla regola base del team building: mettere tutti i componenti sotto un’unica bandiera. Parola, in questo caso.

Ubuntu, la “benevolenza verso il prossimo” nelle lingue bantu, l’”io sono in virtù di ciò che tutti siamo”, l’unione totale dei singoli in un’unica entità, la forma più pura della collaborazione tra uomini.

Perché le parole, una volta fatte proprie e una volta diventate parte del gruppo sono potenti. E non poco!

Il modo in cui usiamo le parole determina il nostro comportamento in palestra. In ogni momento costruiamo il termometro emotivo e attitudinale del team che stiamo conducendo.

Creare squadra: le piccole attenzioni verso i singoli che si riverberano sul gruppo. Qualche esempio che possiamo trovare sia in situazioni giovanile che senior.

Quando i ragazzi arrivano al campo sono spesso in fase di trasferimento: arrivano dalla scuola, dai compiti, da impegni con la famiglia, da mille situazioni differenti. Accoglierli con il sorriso e con delle buone parole di benvenuto li fa sentire subito a loro agio. Si rilassano e comprendono di essere in un luogo amico e che a loro ci tiene.

Micro link con le informazioni che abbiamo ricevuto in passato, anche, posso aiutare in questa direzione: dal grande classico “…com’è andata l’interrogazione?” fino al “…come va la caviglia?”. Piccoli gesti che contribuiscono a creare serenità e senso di appartenenza. Stiamo, stagione per stagione, scrivendo insieme una piccola storia e questi elementi costituiscono gli snodi fondamentali per una narrazione che si sussegue settimana dopo settimana per tutto l’arco della stagione.

Prima i giocatori poi noi, sempre.

Quando possibile, e dovrebbe esserlo sempre, è necessario lasciare nell’armadietto quello di altro che la giornata ci ha lasciato addosso . Entrare sul parquet con meno emotività possibile. Perché lì, non dobbiamo mai dimenticarcelo, siamo al servizio dei giocatori e dei giovani atleti. Il nostro termometro emotivo è necessario sia più neutro possibile.

Noi conosciamo bene il piano di allenamento che abbiamo preparato, gli atleti no. Spendere qualche momento per introdurre quello che insieme andremo a fare crea coesione. Stessa cosa alla fine dell’allenamento. Questi sono semplici elementi che concorrono in maniera sostanziale a rendere gli atleti partecipi del processo che stanno vivendo. Importantissimo!

Quali altri gesti, accortezze, piccole attenzioni possiamo porre nel nostro stare insieme in palestra per rendere l’esperienza più piacevole (e quindi fruttifera) a tutti?

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